UNA SINTESI MARZIALE… BEN RIUSCITA

A non pochi marzialisti che hanno coltivato per decenni uno stile duro, focalizzando la pratica sul condizionamento fisico e sul perfezionamento della tecnica, è successo di cominciare ad apprezzare, nel tempo, l’importanza che può avere uso più rilassato ed “elastico” del corpo; intuendo anche come, dentro un gesto spontaneo e non codificato, può essersi racchiusa una enorme efficacia.

D’altra parte, succede anche che alcuni di coloro che hanno praticato a lungo uno stile interno, magari con una prospettiva esclusivamente salutistica, senza mai esplorare l’efficacia che potenzialmente si nasconde negli armoniosi movimenti che hanno imparato, si rendono conto che forse non hanno ben compreso uno degli scopi fondamentali della loro arte, e cioè:
come, attraverso la massima morbidezza sia possibile raggiungere l’estrema durezza.

Circa un secolo fa, un grande maestro – partendo dalla conoscenza dello Xing Yi –, iniziò a creare una
“nuova” arte marziale, cercando di armonizzare interno ed esterno, morbido e duro. Parliamo di
Wang Xianzhai (1885-1963) e dell’arte da lui inventata: l’Yi Quan (o Yi Chuan) o, come la chiamano in molti, “Da Cheng Chuan” (la “Boxe del Supremo Conseguimento“, come per dire… “più in là non si può andare”).

Come tutti sanno, Wang Xianzhai è stato uno dei più celebri maestri della storia delle arti marziali. Nella prima metà del secolo scorso la sua fama fu così grande per tutta l’Asia che egli veniva semplicemente chiamato, “Il Maestro della Cina”.

Le sue sfide con marzialisti, lottatori e boxeur professionisti di vari paesi alimentarono spesso le cronache dei primi decenni del Novecento, diventando a volte leggenda.

Nell’Yi Quan si rinuncia alla pratica delle “forme”, intese come sequenze tradizionali di tecniche codificate. Detto in parole molto povere, quest’arte prevede soltanto alcune fondamentali “fasi” di studio, volte all’apprendimento di un’unica cosa, e cioè: come deve essere percepita e accumulata l’energia; in che modo la “forza unificata” che da quest’energia deriva può essere mossa attraverso il corpo; come questa forza può essere emanata, o meglio, “scagliata” contro un avversario.

La pratica dell’Yi Quan comprende un percorso interno di ‘ascetica’ durezza (il lavoro energetico, fondato sulle posizioni statiche, raggiunge livelli di enorme intensità), ma contiene anche elementi propri delle arti marziali esterne, a partire dalla ricerca dell’estremo condizionamento fisico e, soprattutto, mentale (non per niente si chiama “Boxe dell’Intenzione”).

Per tali motivi e sebbene la maggior parte dei commentatori annoverino questa disciplina tra quelle interne, l’Yi Quan può essere considerato un tentativo (ben riuscito) di sintetizzare, al di là delle forme, elementi fondamentali delle due tradizionali “Vie” dell’Arte Marziale.

Nelle immagini: Yao Zhong Xun, erede ufficiale di Wang Xianzhai, mentre pratica una posizione statica, stando su una sola gamba, e Granmaster Yao Chen Rong con Sifu Simonetti a destra